Delighted to be heading back to ICGEB Triest in a few days for a double appointment on Friday, November 10th.
In the afternoon, at 3 pm CET I will be delivering a seminar (in English) as part of the ICGEB International Seminar Series, with title “Bioethics and Sport: Evidence, Values and Norms underlying competition for athletes” (abstract below). It will be possible to follow the seminar in hybrid mode. If you’d like to receive the zoom link please email seminars@icgeb.org in advance of the meeting.
Abstract
There is a fundamental tension intrinsic in athletics: human sex is not binary, and there are only two categories in which people can compete: men, and women. In the late 1990s, all forms of sex testing had been abandoned by the International Olympic Committee due to some high-profile false positive cases. After a brief interval, sex testing re-emerged in 2009 with the case of South-African runner Caster Semenya, whose gold medal at the World Track & Field Championship in Berlin was revoked on suspicion of an unfair advantage derived from a “male biological make-up”. Following an investigation, in May 2011,World Athletics (WA) enacted ‘Hyperandrogenism regulations’ which require that female athletes with endogenous testosterone levels above 5 nmol/Lit take androgen suppressive therapy as a condition to compete in the female category. Since the original formulation, the WA Hyperandrogenism regulations have undergone multiple iterations, the most recent one in March 2023, and have been at the centre of three high profile legal disputes, two at the Court for Arbitration of Sport also known as the “Supreme Court for Sports” (2015; 2019), and one at the European Court of Human Rights (2023). In this talk I will provide a bioethics and sport approach to the question of unfair advantage and eligibility to compete in the female category for athletes with DSD, reviewing the evidence, values and norms underlying the World Athletics regulations to compete in the female category for athletes with DSD.
In the evening at 6 pm CET I will be presenting my book (in Italian) in conversation with the absolutely fantastic Suzanne Kerbavcic, at the LOVAT bookstore (Stabile Oviesse, V.le Venti Settembre, 20, 34125 Trieste)
Il blog post originale in inglese è accessibile a questo link.
Se sei una persona adulta è probabile che, come noi, anche tu abbia avuto almeno un’ esperienza nei reparti di pronto soccorso, oppure che tu possa ricordare di averci accompagnato un parente o un amico/a.
Uno dei molti sistemi esistenti di triage usati nei reparti di pronto soccorso.
Consideriamo lo scenario in cui il motivo per cui tu, un parente o un amico ti sei recato al pronto soccorse fosse la presenza di sintomi che richiedevano una valutazione e un intervento immediati, sebbene non fossero immediatamente pericolosi per la vita. In questo scenario, saresti arrivato al pronto con la tua auto o accompagnato dall’auto di un amico; non su un’ambulanza.
Se è andata proprio così, allora è probabile che la tua esperienza e la nostra in pronto soccorso abbiano avuto qualcosa in comune: dopo una prima valutazione da parte di un operatore specializzato (chiamato infermiere di triage), ti sarà stato assegnato un numero o un colore e ti sarà stato chiesto di attendere il tuo turno in una sala d’attesa. Potrebbe essere passato anche molto tempo prima che tu sia stato visitato dal medico del pronto soccorso.
La maggior parte di noi ha una comprensione generale dello scopo del triage: dare priorità ai pazienti in base all’urgenza di essere visitati, con l’obiettivo di salvare il massimo numero di vite date le risorse disponibili. Il termine “triage” ha origini nel XVIII secolo dalla parola francese “trier”, che significa selezionare o scegliere in base alla qualità. Decidere chi servire prima in base a una certa qualità della condizione è considerato una questione di “giustizia sostanziale”.
Tuttavia, di solito non pensiamo al triage come a un mezzo per salvare vite, come era originariamente inteso in scenari di guerra. Invece, in circostanze ordinarie, abbiamo l’aspettativa che tutte le vite possano essere salvate nei reparti di pronto soccorso, con il caveat che alcuni pazienti verranno visitati prima di altri a causa di qualche qualità o caratteristica della loro condizione, ad esempio perché lo sviluppo della loro patologica è “tempo-dipendente”. Questo modo di procedere è generalmente considerato equo, quindi non ci “lamentiamo” – in linea di massimo almeno – se un paziente/a arrivato dopo di noi viene visitato prima di noi, perché sappiamo che i reparti di pronto soccorso non funzionano sulla base del principio del “primo arrivato, primo servito”.
Tuttavia, la pandemia ha rivelato la tragica realtà del triage: in situazioni straordinarie, le misure di triage potrebbero non essere in grado di salvare tutte le vite.
Eppure, anche in contesti ordinari, non legati a disastri o emergenze sanitarie come quella che abbiamo vissuto recentemente legata al SARS-cov-2, i principi alla base delle misure di triage richiedono una considerazione attenta. In primo luogo, il triage rimane una realtà quotidiana in vari sistemi sanitari, specialmente nei paesi in via di sviluppo (low and middle income countries), dove le risorse sono limitate.
In secondo luogo, i criteri e le procedure di triage sono raramente trasparenti, accessibili o giustificati al pubblico. Inoltre, sono raramente coerenti tra diversi paesi e anche all’interno dello stesso paese, ospedali diversi adotteranno spesso un diverso sistema di triage. Ciò significa che un paziente al Pronto Soccorso a Bristol e un paziente al Pronto Soccorso a Leeds, con la stessa condizione, potrebbero essere assegnati a colori diversi, corrispondenti a diverse priorità. Parte di questa variabilità è intrinseca al sistema: diversi operatori classificheranno i pazienti in modo diverso entro un certo margine previsto.
Tuttavia, alcune delle incongruenze procedurali sono evitabili, e dovrebbero essere evitate. A tal fine, i criteri utilizzati per classificare i pazienti dovrebbero essere resi pubblicamente accessibili e trasparenti. Pertanto, è necessaria un’approfondita esplorazione concettuale ed empirica del triage nei Pronto Soccorso in circostanze ordinarie per promuovere un triage equo e legittimo nella vita di tutti i giorni.
Il nostro saggio (doi: jme-2023-109188) affronta questa esigenza proponendo cinque requisiti che dovrebbero essere rispettati per garantire un triage equo dal punto di vista dell’equità procedurale, basandosi sul lavoro fondamentale di “responsabilità per la accountability” proposto da Daniels e Sabin, e applicandolo al contesto dei reparti di pronto soccorso.
Nel nostro articolo sottolineiamo anche le domande di ricerca concettuali ed empiriche per determinare se il triage nei reparti di pronto soccorso soddisfa i cinque requisiti di equità procedurale, in particolare in contesti nazionali o statali specifici. Si tratta di un’area scarsamente studiata in bioetica, alla convergenza tra medicina d’urgenza, teorie della giustizia e teoria democratica. Speriamo che, come noi, tu lo trovi importante e affascinante e decida di contribuire al suo sviluppo.
Facci sapere cosa ne pensi scrivendoci qui o sui social:
The pandemic has revealed the tragic reality of triage: in extraordinary situations, triage interventions may not be able to save all lives.
However, even in ordinary, non-disaster contexts, the principles underlying triage intervention demand careful consideration. First, triage remains a daily reality in various healthcare systems, particularly in the Global South, where resources are limited.
One of the many examples of triage classifications.
Second, triage criteria and procedures are seldom transparent, accessible, or justified to the public. Further, they are also rarely consistent across different countries, and even within the same country, different hospitals will often adopt a different triage system. That means that an ED patient in Bristol and an ED patient in Leeds, with the same condition, might be assigned different colours, corresponding to different priorities. Some of this variability is inherent in the system: different operators will rank patients differently within a certain expected margin. However, some of this procedural inconsistencies are avoidable. To this end, the criteria used to rank patients should be made publicly accessible, and transparent. Therefore, an in-depth conceptual and empirical exploration of ED triage in ordinary circumstances is needed to promote fair and legitimate ED triage in everyday life.
Our paper (doi: jme-2023-109188) addresses this need by proposing five requirements that should be respected to ensure a fair triage from the point of view of procedural fairness, building on the seminal work of “accountability for reasonableness” proposed by Daniels and Sabin, and applying it to the context of EDs. We also outline conceptual and empirical research questions to determine whether ED triage meets the five requirements of procedural fairness, particularly in specific national or state contexts. This is a vastly under-researched area in bioethics, at the convergence of emergency medicine, theories of justice, and democratic theory. We hope that, like us, you will find it important and fascinating and will decide to contribute to its development.
If you’d like to read the paper however don’t have institutional access to the journal please drop me a note to request the PDF –> silvia.camporesiATunivie.ac.at
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