Propongo qui sotto la traduzione di un blog post scritto con Davide Battisti e pubblicato il 28.08.23 sul blog del Journal of Medical Ethics.
Il blog post originale in inglese è accessibile a questo link.
Se sei una persona adulta è probabile che, come noi, anche tu abbia avuto almeno un’ esperienza nei reparti di pronto soccorso, oppure che tu possa ricordare di averci accompagnato un parente o un amico/a.

Consideriamo lo scenario in cui il motivo per cui tu, un parente o un amico ti sei recato al pronto soccorse fosse la presenza di sintomi che richiedevano una valutazione e un intervento immediati, sebbene non fossero immediatamente pericolosi per la vita. In questo scenario, saresti arrivato al pronto con la tua auto o accompagnato dall’auto di un amico; non su un’ambulanza.
Se è andata proprio così, allora è probabile che la tua esperienza e la nostra in pronto soccorso abbiano avuto qualcosa in comune: dopo una prima valutazione da parte di un operatore specializzato (chiamato infermiere di triage), ti sarà stato assegnato un numero o un colore e ti sarà stato chiesto di attendere il tuo turno in una sala d’attesa. Potrebbe essere passato anche molto tempo prima che tu sia stato visitato dal medico del pronto soccorso.
La maggior parte di noi ha una comprensione generale dello scopo del triage: dare priorità ai pazienti in base all’urgenza di essere visitati, con l’obiettivo di salvare il massimo numero di vite date le risorse disponibili. Il termine “triage” ha origini nel XVIII secolo dalla parola francese “trier”, che significa selezionare o scegliere in base alla qualità. Decidere chi servire prima in base a una certa qualità della condizione è considerato una questione di “giustizia sostanziale”.
Tuttavia, di solito non pensiamo al triage come a un mezzo per salvare vite, come era originariamente inteso in scenari di guerra. Invece, in circostanze ordinarie, abbiamo l’aspettativa che tutte le vite possano essere salvate nei reparti di pronto soccorso, con il caveat che alcuni pazienti verranno visitati prima di altri a causa di qualche qualità o caratteristica della loro condizione, ad esempio perché lo sviluppo della loro patologica è “tempo-dipendente”. Questo modo di procedere è generalmente considerato equo, quindi non ci “lamentiamo” – in linea di massimo almeno – se un paziente/a arrivato dopo di noi viene visitato prima di noi, perché sappiamo che i reparti di pronto soccorso non funzionano sulla base del principio del “primo arrivato, primo servito”.
Tuttavia, la pandemia ha rivelato la tragica realtà del triage: in situazioni straordinarie, le misure di triage potrebbero non essere in grado di salvare tutte le vite.
Eppure, anche in contesti ordinari, non legati a disastri o emergenze sanitarie come quella che abbiamo vissuto recentemente legata al SARS-cov-2, i principi alla base delle misure di triage richiedono una considerazione attenta. In primo luogo, il triage rimane una realtà quotidiana in vari sistemi sanitari, specialmente nei paesi in via di sviluppo (low and middle income countries), dove le risorse sono limitate.
In secondo luogo, i criteri e le procedure di triage sono raramente trasparenti, accessibili o giustificati al pubblico. Inoltre, sono raramente coerenti tra diversi paesi e anche all’interno dello stesso paese, ospedali diversi adotteranno spesso un diverso sistema di triage. Ciò significa che un paziente al Pronto Soccorso a Bristol e un paziente al Pronto Soccorso a Leeds, con la stessa condizione, potrebbero essere assegnati a colori diversi, corrispondenti a diverse priorità. Parte di questa variabilità è intrinseca al sistema: diversi operatori classificheranno i pazienti in modo diverso entro un certo margine previsto.
Tuttavia, alcune delle incongruenze procedurali sono evitabili, e dovrebbero essere evitate. A tal fine, i criteri utilizzati per classificare i pazienti dovrebbero essere resi pubblicamente accessibili e trasparenti. Pertanto, è necessaria un’approfondita esplorazione concettuale ed empirica del triage nei Pronto Soccorso in circostanze ordinarie per promuovere un triage equo e legittimo nella vita di tutti i giorni.
Il nostro saggio (doi: jme-2023-109188) affronta questa esigenza proponendo cinque requisiti che dovrebbero essere rispettati per garantire un triage equo dal punto di vista dell’equità procedurale, basandosi sul lavoro fondamentale di “responsabilità per la accountability” proposto da Daniels e Sabin, e applicandolo al contesto dei reparti di pronto soccorso.
Nel nostro articolo sottolineiamo anche le domande di ricerca concettuali ed empiriche per determinare se il triage nei reparti di pronto soccorso soddisfa i cinque requisiti di equità procedurale, in particolare in contesti nazionali o statali specifici. Si tratta di un’area scarsamente studiata in bioetica, alla convergenza tra medicina d’urgenza, teorie della giustizia e teoria democratica. Speriamo che, come noi, tu lo trovi importante e affascinante e decida di contribuire al suo sviluppo.
Facci sapere cosa ne pensi scrivendoci qui o sui social:
Davide Battisti: @davidebattisti93 (X); @davidebattisti (IG)
Silvia Camporesi: @silviacamporesibioetica
#triage #prontosoccorso #emergenza #giustizia #criteri
P.S. A big “THANKS!” va a Arian Zaboli per i preziosi commenti e le vivaci discussioni durante la stesura di questo saggio.
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