La gestione di crisi sembra essere diventata parte delle nostre vite quotidiane. Da eventi atmosferici estremi, alla distruzione di nicchie ecologiche e di interi habitat naturali, alle epidemie e pandemie causate da nuovi agenti patogeni. Scenari che una volta venivano reputati fantascientifici di collasso ecologico sono ora diventati realtà. Cosa ci può dire la bioetica su queste crisi ricorrenti e sulla nostra responsabilità morale verso la natura, le altre specie, e il nostro pianeta?

In questo seminario presso il Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università di Sassari, sede di Alghero, presento la visione originaria di V. R. Potter, medico ed oncologo statunitense, che nel suo libro del 1971, “Bioethics: a bridge to the future” (Bioetica: un ponte verso il futuro) coniò il termine bioetica e la definì “the science of human survival”, la scienza della sopravvivenza umana. Quando si pensa alla parola bioetica, la preservazione dell’ambiente naturale non è la prima cosa che viene in mente. Vengono in mente biotecnologie, cellule staminali, intelligenza artificiale. Eppure, il significato originario della parola bioetica era ampio e comprendeva come uno dei tre pilastri appunto l’environment, l’ambiente. Nel 1988 pubblicò un secondo libro: “Global Bioethics” (Bioetica Globale) in cui approfondiva i temi già presenti nel primo libro e legati all’etica ambientale.
Per Potter l’interconnessione tra vita umana e natura era il fondamento della sua visione della bioetica, che quindi si faceva precursore dell’approccio One Health alla salute, che promuove l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale e la necessità della collaborazione interdisciplinare tra varie discipline per affrontare e gestire crisi come nuovi agenti patogeni, crisi climatiche e calamità naturali. Secondo Potter, in un mondo caratterizzato da rischi esistenziali alla specie umana e al nostro pianeta, come era quello degli anni ’70, nel pieno della guerra fredda, era necessario avvalersi di una nuova disciplina, la bioetica appunto, che unisse la conoscenza delle scienze della vita (bios) con la conoscenza delle scienze umane e sociali per assicurare un uso etico delle nuove tecnologie, con il fine ultimo quello della preservazione della nostra specie e del futuro del nostro pianeta. La visione di colui che ha coniato il termine bioetica nella sua accezione moderna e contemporanea è infatti una visione ampia che va ben oltre l’etica della biomedicina – accezione della bioetica che prese invece il sopravvento dagli anni ’70 all’inizio degli anni 2000 -, e che include tre pilastri fondamentali, che Potter aveva identificato in tre parole che iniziano tutte con la P in inglese: Peace, Population, and Pollution, quindi la pace e stabilità nel mondo, il problema della sovrappopolazione, e inquinamento, per l’attenzione per le preoccupazioni ambientali.
In questo seminario discutiamo la visione di Potter per bioetica globale e la sua legacy culturale che è stata riscoperta e rivalutata solo negli ultimi anni, da autori come Henk Ten Have, Lisa Lee and Jenell Jensen
Referenze chiave
Lee, L. M. (2017). A bridge back to the future: public health ethics, bioethics, and environmental ethics. The American Journal of Bioethics, 17(9), 5-12.
Johnson, J. (2016). Bioethics as a way of life: The radical bioethos of Van Rensselaer Potter. Literature and Medicine, 34(1), 7-24.
Potter, V. R. (1971). Bioethics, the science of survival. Perspectives in biology and medicine, 14(1), 127-153.
Potter, V. R. (1992). Global bioethics facing a world in crisis. Global Bioethics, 5(1), 69-76.
Ten Have, H. A. (2012). Potter’s notion of bioethics. Kennedy Institute of Ethics Journal, 22(1), 59-82.
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